giovedì 27 dicembre 2012

Classica: Grandi Speranze di Charles Dickens, seconda parte


di Faye

Per il "Progetto Classica", proseguiamo nella lettura di Grandi Speranze, il celebre romanzo di Charles Dickens.
Oltre alla più recente versione cinematografica di Newell, ricordiamo la bellissima pellicola del 1946 per la regia di David Lean, della quale vi riproponiamo qualche fotogramma.

Guida alla lettura

I capitoli in esame (9-19) sono quelli che concludono la prima parte del libro, quella relativa all’infanzia di Pip.
Nello svolgimento della vicenda, narrata attraverso i ricordi del suo personaggio,  è chiara la condanna dell’autore nei confronti degli adulti che non rispettano la delicata sensibilità infantile. Dickens, a volte ricorrendo alla più sottile ironia, a volte attraverso lirismo descrittivo, sottolinea i danni prodotti dal disprezzo, dall’umiliazione e dalla falsità sulle menti più giovani.
Le pagine dedicate a Miss Havisham e alla sua casa, ridotta ad una dimora spettrale in ricordo del matrimonio mai avvenuto, sono degne del miglior romanzo gotico: ripugnanza ed orrore sono tuttavia inferiori al fascino che la ricchezza della donna e la bellezza di Estella esercitano su Pip. È una corruzione mentale, un obnubilamento che il piccolo subisce, con evidenti ripercussioni sul suo futuro.
Tanto può la mancanza di amore e fiducia per un bambino.

Capp. 9 – 19

Pip ancora sconvolto per la sua visita a Miss Havisham torna a casa; non sa spiegarsi il perché, ma avverte che la sua vita sta cambiando.


Provate a immaginare di cancellarne un giorno particolare, e pensate a come sarebbe stato differente il suo corso. Voi che leggete, fermatevi a pensare per un attimo alla lunga catena di ferro o di oro, di spine o di fiori, che non vi avrebbe mai avvinto, se non si fosse formato il primo anello in un giorno memorabile.

Colpito dalle osservazioni cattive di Estella, decide di migliorare la propria istruzione, aiutato in questo da Biddy, una ragazza giovane e modesta dal cuore d’oro, che gl’insegna, come può, a leggere. Al pub, dove si è recato in compagnia di Joe, incontra un uomo dall’aria misteriosa che lo osserva, fa domande sugli evasi e gli regala uno scellino avvolto in due banconote da una sterlina, mostrandogli una lima. È chiaro che si tratta di qualcuno in contatto con l’evaso Abel Magwitch, e Pip è piuttosto spaventato. La settimana successiva, si reca a un nuovo appuntamento con Miss Havisham; la vecchia signora chiede a Pip di farla camminare e, appoggiandosi a lui, gli fa visitare una grande sala, ricoperta di polvere e ragnatele. In questa stanza era stato preparato il ricevimento che non ha mai avuto luogo, come testimoniano gli avanzi di una torta lasciata a marcire sul tavolo: la descrizione è macabra ma non mancano pennellate di un lieve umorismo.

Era spaziosa, e un tempo doveva esser stata anche bella, ma tutto ciò che si riusciva a distinguere, era coperto di polvere e muffa e cadeva a pezzi.
Si notava un lungo tavolo, coperto da una tovaglia, come se ci fossero stati preparativi per una festa, quando la casa e gli orologi si erano fermati. In mezzo vi era una sorta di centrotavola, di forma indefinibile, a causa del fitto intrico di ragnatele che lo avvolgeva; e mentre i miei occhi scorrevano sulla distesa gialla da cui pareva emergere come un fungo nero, vidi ragni con zampe screziate e corpi a chiazze che correvano di qua e di la, come se nella comunità dei ragni fosse appena giunta notizia di un evento della massima importanza.


Pip ed Estella giocano ancora a carte: la ragazza continua a insultarlo, sotto lo sguardo compiaciuto di Miss Havisham, che sta crescendo Estella con un unico scopo, quello di vendicarsi di tutto il genere maschile attraverso di lei (“Spezza i loro cuori, mio orgoglio e speranza, spezzali e non aver pietà!”).
Al termine della visita, Pip incontra un ragazzo più grande che lo sfida a battersi con i pugni; è la prima volta per Pip, che tuttavia esce vincitore dallo scontro.
Passano le settimane: Pip continua a frequentare la casa di Miss Havisham, giocando con Estella e facendo camminare la vecchia signora. Sono giorni apparentemente sereni per il ragazzino; in realtà, è proprio in questo delicato momento di transizione dall’infanzia alla giovinezza che la bellezza di Estella e il disprezzo che lei nutre nei suoi confronti, agiscono come un veleno: Pip inizia a desiderare di diventare un’altra persona, provando insoddisfazione e vergogna per la sua vita. Dopo qualche tempo, Miss Havisham decide improvvisamente che Pip è cresciuto: lo allontana da sé e da Estella e paga il suo contratto come apprendista di Joe. Pip aveva sognato fin da bambino di diventare un fabbro, ma ora tutto gli appare sotto un’altra luce e il ragazzo prova risentimento e insofferenza persino nei confronti di Joe.

È davvero brutto vergognarsi di casa propria. È nera ingratitudine e merita una giusta punizione; e che sia una cosa brutta, lo posso attestare.
Casa mia non era un posto piacevole, a causa dell'indole di mia sorella. Ma Joe le aveva conferito sacralità e io vi avevo creduto. Avevo creduto nel salotto buono, come fosse una sala elegante; avevo creduto nella porta d’ingresso, come fosse il misterioso portale del Tempio di Stato, la cui solenne apertura si celebrava con un sacrificio di cacciagione arrostita; avevo creduto nella cucina, come fosse una stanza impeccabile, anche se non sontuosa; avevo creduto nella fucina, come fosse la via scintillante verso la maturità e l'indipendenza. In un anno, tutto era cambiato. Ora tutto era volgare e ordinario, e non avrei mai voluto che Miss Havisham ed Estella lo vedessero.


Mentre il suo apprendistato prosegue, Pip non dimentica Estella; decide di far visita a Miss Havisham e da lei apprende che la ragazza è all’estero per perfezionare la propria educazione. La sorella di Pip subisce un’aggressione da parte di uno sconosciuto: le sue condizioni restano gravi per molti mesi e non riuscirà mai più a riprendersi né a parlare. Stranamente, la donna sembra  chiedere la presenza di Orlick, il losco e odioso apprendista di Joe che ha preso il posto di Pip nella fucina. Biddy è chiamata ad occuparsi della donna, di Joe e Pip.
La ragazza è dolce e piena di buon senso e Pip le confida i propri sentimenti.

- Biddy,-  dissi, dopo averle imposto il segreto, - voglio diventare un signore.
- Io non lo vorrei, se fossi in te! Non penso ti servirebbe.
- Biddy, - dissi con una certa severità, - ho delle ragioni particolari per voler diventare un signore.
- Tu lo sai meglio di me, Pip; ma non credi di esser più felice così come sei?
- Biddy, - esclamai con impazienza,-  io non sono affatto felice così come sono. Mi disgusta il mio mestiere e la mia vita; non mi sono mai piaciuti, sin dal contratto. Non essere assurda.
- Sono assurda? - disse quietamente, alzando le sopracciglia. - Mi dispiace, non volevo. Voglio solo che tu stia bene e sia a tuo agio.
- E allora una volta per tutte sappi che io non sto e non starò mai bene, anzi starò male, ecco! - a meno che non riesca a vivere una vita molto diversa da quella di ora.
- Peccato! - disse Biddy scuotendo la testa con aria dispiaciuta.
L'avevo pensato talmente spesso anch'io che era un peccato, che mi venne quasi di piangere per la rabbia e la pena, quando Biddy formulò il suo e il mio sentimento. Le dissi che aveva ragione e che mi dispiaceva, ma che non potevo farci niente. - Se riuscissi a rassegnarmi - le dissi, strappando i fili d'erba lì vicino, proprio come tanto tempo prima mi ero strappato l'infelicità dai capelli e l'avevo scalciata contro il muro della birreria, - se  riuscissi a rassegnarmi e a farmi piacere la fucina anche solo la metà di quanto l'ho amata da bambino, so che sarebbe molto meglio. Io,  te e Joe non avremmo più bisogno di niente, e forse Joe ed io potremmo diventar soci dopo il mio periodo di apprendista, e forse ora avrei finito per corteggiarti, e ci saremmo messi a sedere su questa stessa riva in una bella domenica, ben diversi da come siamo oggi. Ero abbastanza per te, Biddy, non è vero?
Sospirò guardando le navi al largo, e rispose:-  Sì, non sono molto difficile. - La sua risposta non suonava lusinghiera, ma sapevo che l'intenzione era buona.
- E invece, - dissi strappando dell'altra erba e masticandone qualche filo, - guarda come sono. Scontento e inquieto;  e non m’importerebbe di essere ordinario e volgare, se nessuno me l'avesse detto!
Biddy si girò di colpo verso di me, e mi guardò con molta più attenzione di quella riservata alle navi che passavano.
- Non è stata una cosa gentile da dire e neppure vera,-  osservò, rivolgendo di nuovo lo sguardo alle navi. - Chi è stato a dirlo?
Ero confuso, poiché m'ero lanciato senza saper bene dove stavo andando. Non potevo più tirarmi indietro e così risposi: - La bella signorina che stava da Miss Havisham, è bellissima, e io l'ammiro terribilmente, e per lei voglio diventare un signore. - Dopo quella mia confessione da matto, mi misi a buttare l'erba strappata nel fiume, come se avessi una mezza idea di raggiungerla.
- Vuoi diventare un signore per farle dispetto o per conquistarla? - Mi chiese con calma dopo una pausa.
- Non lo so, - risposi di malumore.
- Perché se è per farle dispetto, mi pare - ma tu lo sai meglio di me – che faresti meglio e ti sentiresti  più libero,a non dar retta alle sue parole. E se è per conquistarla, mi pare - ma tu lo sai meglio di me - che non se lo meriti.
Esattamente ciò che mi ero detto mille volte. Esattamente ciò che mi pareva del tutto evidente anche in quel momento. Ma come potevo io, povero, infatuato ragazzetto di paese, evitare quella sorprendente incoerenza in cui cadono tutti i giorni gli uomini migliori e più saggi?
- Sarà tutto vero, - le dissi, - ma io l'ammiro terribilmente.

Mi chiesi se non sapevo per certo che se in quel momento al mio fianco ci fosse stata Estella invece di Biddy, m'avrebbe reso infelice. Fui costretto ad ammettere di non aver dubbi in proposito e mi dissi: “Pip, sei proprio uno scemo!”
Parlammo molto, camminando, e tutto quello che diceva sembrava giusto.
Biddy non era mai offensiva, capricciosa, oggi in un modo e l’indomani in un altro; avrebbe sentito dolore e non piacere, a farmi del male; avrebbe preferito ferire il proprio cuore piuttosto che il mio. Com'era possibile, allora,che non fosse lei a piacermi più delle due?
Biddy, - dissi mentre tornavamo a casa, - vorrei che mi rimettessi in sesto.
- Vorrei esserne capace!
- Se solo riuscissi a innamorarmi di te - non ti dispiace se parlo così francamente a una vecchia amica?
- Ma no,niente affatto! Non preoccuparti.
- Se solo ci riuscissi sarei a posto.
- Ma vedi, tu non ce la farai mai.


Amareggiato, Pip cerca di dimenticare Estella e il proprio disagio, e quasi riesce a rassegnarsi al suo futuro di fabbro, quando un avvenimento imprevisto mette fine al suo apprendistato. Mr. Jaggers, un avvocato di Londra che Pip aveva incontrato a casa di Miss Havisham, comunica a Pip che un ignoto benefattore ha deciso di rilevare il suo contratto di apprendista:

- La comunicazione che ho da fare è che questo ragazzo ha delle grandi speranze.
Joe ed io ci guardammo a bocca aperta.
- Sono incaricato di comunicargli, - disse puntandomi un dito contro - che entrerà in possesso di un bel patrimonio. E inoltre, che è desiderio del suo benefattore, di farlo allontanare senza indugio dall'ambiente e dal luogo in cui vive, per essere educato come un signore – in breve, come un giovane di grandi speranze.


Vi sono solo due clausole da accettare: Pip dovrà continuare a chiamarsi così e non dovrà mai indagare sulla natura del benefattore. In compenso si trasferirà a Londra e riceverà una buona educazione.
Pip è sicuro che il misterioso benefattore altri non sia che Miss Havisham, tanto più che Jaggers gli propone come precettore Matthew Pocket, un parente dell’anziana signorina. Il suo sogno sta per avverarsi: felice all’idea di lasciare il ristretto mondo nel quale ha vissuto fino a quel momento, Pip non prova altro che un lieve fastidio davanti alle uniche persone che gli vogliono bene.

Caro vecchio Joe, che ero così pronto a lasciare senza un po' di gratitudine, ti vedo come allora, il muscoloso braccio di fabbro sugli occhi, l'ampio petto che ti si solleva e la voce che si affievolisce. Caro buono fedele tenero Joe, ancora oggi sento il caldo tremito della tua mano sul braccio, solennemente, come fosse stato il fruscio dell'ala di un angelo!
Ma in quell'occasione lo consolai. Ero perduto nei labirinti della mia futura fortuna, e non riuscivo a ritrovare i sentieri da noi percorsi insieme.

mentre Joe e Biddy tornavano alla loro pacata serenità abituale, io mi facevo via via più tetro.
Insoddisfatto della mia fortuna naturalmente non potevo essere; ma è possibile che senza saperlo fossi insoddisfatto di me stesso.
Comunque, me ne stavo col gomito sul ginocchio e la faccia sulla mano a guardare il fuoco, mentre quei due parlavano della mia partenza, e di come avrebbero fatto senza di me, e di tutto il resto. E non appena coglievo un loro sguardo, più che mai affettuoso (e mi guardavano spesso, soprattutto Biddy), me ne sentivo offeso, come se stessero manifestando della diffidenza nei miei confronti. Ma sa il cielo che non lo fecero mai, né a parole né a gesti.
In quei casi mi alzavo e andavo a guardar fuori; infatti la porta della cucina si apriva di colpo sulla notte, e le sere d'estate rimaneva aperta per arieggiare la stanza. Temo che persino le stelle su cui alzavo gli occhi, mi paressero soltanto povere stelle umili poiché splendevano sui rustici oggetti tra cui avevo passato la vita.


Deciso ad apparire in forma smagliante, Pip, con i soldi che gli ha anticipato Jaggers, si riveste di tutto punto. Orgoglioso della fortuna ricevuta, diventa sprezzante nei confronti di Joe e Biddy;  si vergogna di loro che rappresentano la zavorra del proprio passato. È soltanto al momento della partenza, che affiora nel suo cuore una sorta di consapevolezza.

Fischiettavo e non me ne importava di andar via. Ma il villaggio era silenzioso e quieto e la nebbia leggera si alzava solennemente,come per mostrarmi il mondo, e lì ero stato così piccolo e innocente e al di là tutto era così grande e sconosciuto, che dopo un attimo, con un gran sospiro e un singhiozzo, scoppiai in lacrime. Ero accanto al palo che segnava la via in fondo al villaggio, e vi appoggiai la mano e dissi: Addio, caro, caro amico!
Sa Dio che non dovremmo mai vergognarci delle nostre lacrime, poiché sono pioggia sull'accecante polvere della terra che ci ricopre il cuore indurito. Mi sentii meglio, dopo aver pianto - più triste, più consapevole della mia ingratitudine, più mite. Se avessi pianto prima, in quel momento avrei avuto Joe accanto a me. Così mesto m'avevano reso quelle lacrime che continuarono a prorompere durante il quieto cammino, che quando mi trovai sulla diligenza, con la città alle spalle, meditai con cuore dolente sulla possibilità di scendere al cambio dei cavalli, e tornare indietro a piedi per passare un'altra sera a casa e avere un commiato migliore.


Nel prossimo articolo, la terza parte di Grandi Speranze

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